Omelia della XXX Domenica del Tempo Ordinario

Fratelli e Sorelle carissimi, Bartimeo, figlio di Timeo, abitante nei sobborghi di Gerico, viveva nella condizione di un mendicante, si presenta con una fede che considera Gesù, il “figlio di Davide”, il Messia, sentito come avvicinabile, misericordioso, non chiuso in un’atmosfera regale, scostante. Bartimeo indubbiamente aveva molto pensato al Messia che doveva venire, e l’aveva pensato pronto a stare accanto ai deboli. Le Scritture le aveva ascoltate nella sinagoga, le aveva meditate. Cieco, era stato colpito dall’attenzione che Dio avrebbe avuto per i ciechi, gli zoppi, i deboli. Lo aveva pensato proprio al contrario di come l’avevano pensato coloro che lo volevano fare tacere. Per questi, ed erano i molti, Gesù stava camminando verso Gerusalemme per la liberazione di Israele dal dominio dei Romani. Dunque, un tale Messia, non poteva aver tempo da dedicare ad un cieco, ad un mendicante. Bartimeo grida a Gesù di avere pietà di lui proprio spinto da come lo aveva pensato, non è un gridare urlato, ma un grido implorante, una preghiera. Attorno a lui c’è solo l’invito secco a tacere, ma lui continua a gridare. E’ lo scontro tra due visioni del Messia, e Bartimeo lotta per la sua e ormai vuole la vista per vedere lui, il Messia. Quando si troverà davanti a Gesù pare addirittura avere dimenticato la sua richiesta di guarigione; è Gesù che gli domanderà che cosa vuole. Bartimeo vuole vedere quegli occhi che lo guardano. Bartimeo non era nato cieco, lo era diventato. Aveva quindi memoria di volti, di sorrisi, di sguardi sinceri, come anche di volti cupi; si era figurato il Messia. Non possiamo dire quanto si era avvicinato al reale, ma certo quando lo vide lo volle vedere sempre, e per questo cominciò a seguirlo per la strada. A questo punto ci possiamo domandare come noi pensiamo, ci raffiguriamo, Gesù. Lo pensiamo come il nume tutelare dei nostri interessi, della nostra salute, dei nostri beni? Lo pensiamo come un capo che ci guida trionfalmente ad affermare il nostro potere sugli altri? Lo pensiamo indulgente, garante di un permesso di fare peccati, essendo lui misericordioso? Molti lo pensano così. Ma Gesù è ben diverso. Egli è colui che tutela innanzitutto i nostri cuori con la forza del suo Spirito; egli è colui che non ci concede di peccare, ma è misericordioso e va alla ricerca della pecorella smarrita per recuperarla e sanarne le ferite; egli è colui che ci conduce alla vittoria sull’odio mediante l’amore; egli è colui che umile e mite di cuore ristora le nostre anime; egli è colui che ci sostiene in mezzo agli urti del mondo, quando coraggiosi lo seguiamo a Gerusalemme, cioè quando accettiamo di venire feriti, colpiti, rifiutando con forza di diventare durezza, odio, menefreghismo, vigliaccheria; egli è colui che ci guida alla Gerusalemme celeste; egli è colui che ci perdona senza contare i perdoni e ci comanda di fare altrettanto; egli è la vittima di espiazione dei nostri peccati; egli è il sommo sacerdote che incessantemente intercede per noi presso il Padre; egli è colui che ci chiama ad amare i nemici. Ma passando al suo aspetto esterno, come ce lo figuriamo? Certo egli era, ed è bellissimo: ora immensamente di più nello splendore della gloria. La Sindone ci presenta un volto bellissimo: un ovale allungato, bellissimo. La bellezza rimane in quel volto torturato, ma pacificato dalla morte. L’altezza dell’uomo della Sindone è di un metro e ottanta. Bellissimo. Usando le accese parole della sposa del Cantico dei Cantici (5,15) possiamo dire: “il suo aspetto è quello del Libano, magnifico come i cedri”. Ma la voce di Gesù? Bellissima indubbiamente! La voce di colui che è la Parola del Padre era forte, dolce, sicura, avvincente. I suoi occhi? Li pensiamo azzurri, di un blu timbrato: uno sguardo penetrante, dolce, fermissimo, trafiggente, sereno, sempre amante. Monaci cristiani d’oriente dipingevano e ridipingevano il suo volto, immaginato con la vista dell’amore. I pittori hanno cercato di raffigurare Gesù nelle loro opere, vivendo momenti di viva contemplazione. Certo approssimazioni, ma approssimazioni consapevoli, pronte a subire la meraviglia del vederlo un giorno nel cielo. Approssimazioni guidate dallo Spirito durante la lettura dei Vangeli, durante la meditazione, oppure in un improvviso accendersi del cuore. Chi prega si raffigura Gesù, e un’immagine sacra che lo raffigura lo aiuta, anche se sa che quell’immagine è soltanto un’approssimazione e, a volte, proprio tanto incerta. L’anima orante, amante, sa rifiutare di colpo le foto su Gesù che più volte ho ritrovato nelle mani di fedeli. Queste foto lo raffigurano come un beat rampante, dallo sguardo seduttore e arrogante; oppure lo presentano come un tonto; oppure come un melenso dal volto comune. Inganni per falsare Gesù. Ma chi ama Gesù sa che egli è “riconoscibile tra mille e mille”. Foto scattate da un uomo, ma realizzate da una luminescenza di Satana nella camera fotografica. Si, Satana può impressionare una pellicola, come ben si sa dalle foto spiritiche sui cosiddetti “trapassati”; foto per ingannare. Bartimeo, figlio di Timeo, che vedendo con sguardo interiore gridava per avere la vista, ci ha condotti a queste considerazioni. Ormai si può comprendere perché lo Spirito Santo ha fissato nel Vangelo i dati anagrafici di quel cieco di Gerico, bisognava che quell’uomo che non vedeva, ma tanto vedeva, fosse ben visto da noi. Bartimeo non è uno dei tanti, è Bartimeo, figlio di Timeo, abitante a Gerico. Ma agli occhi di Gesù non era uno dei tanti, come nessuno di noi è uno dei tanti; e chi è in Gesù non guarda nessuno come uno dei tanti. Se ci fosse stato un solo peccatore al mondo, Gesù avrebbe dato se stesso soltanto per quel solo peccatore. Bartimeo salta fuori dall’ombra, e per sempre. Il Messia – lui lo sapeva – si sarebbe preoccupato del cieco, dello zoppo, del debole. Sapeva che non avrebbe fatto arringhe sulla piazza, che non avrebbe spento un lucignolo dalla fiamma smorta. Gridava Bartimeo, non per far rabbia a chi lo voleva far tacere, ma perché sapeva che sarebbe stato ascoltato. La sua era preghiera: “Pietà di me”; era fede: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Ma non andò, seguì: cominciò a seguire Gesù. E lo seguì non solo materialmente, ma col cuore, con la mente, con l’imitazione, perché è possibile seguirlo. Il Figlio di Dio avrebbe potuto darsi una vita di eccezione; avrebbe potuto camminare per le strade della Palestina aureolato di luce, le folle lo avrebbero seguito, sì; ma in realtà tutti sarebbero rimasti ai margini della strada. La strada (non quella di terra battuta o inghiaiata o selciata) di Gesù sarebbe stata tanto diversa dalle nostre: non l’avremmo seguito. Lui invece si è messo sulle nostre strade di dolore, di affanno – non, ovviamente, quelle del peccato -. Egli ha voluto condividere in tutto la nostra condizione umana così che è “in grado di sentire giusta compassione”. Giusta, e non una compassione che non sa guarire, che non chiede nulla al malato, che non gli fa vedere le sue possibilità di recupero, che non gli dà nulla, che non gli dà una meta, una dignità, un futuro, un impegno. Forse quel sacerdote e quel levita che scendevano a Gerico ebbero compassione per quell’uomo incappato nei briganti, ma di certo non fecero nulla e, dunque, si sentirono bravi per “aver avuto compassione”, ma non ebbero la giusta compassione. È qui che c’è la differenza tra la compassione del mondo, la compassione elettoralmente presentata, alla ricerca di consensi. Non è giusta compassione quella che non vede coinvolti nel sacrificio, quella che non è carica di gratuità, ma è piena di interessi. Non è neppure giusta compassione una benevolenza universale di stampo buddista; benevolenza che si ritrae dalla storia, dall’urto del mondo per un autocompiacimento della propria, ma non giusta, compassione. Gesù ebbe giusta compassione e per questo andò a Gerusalemme a morire; per questa giusta compassione, recepita con vivezza, Bartimeo cominciò a seguirlo. Impariamo, dunque, che cosa è la giusta compassione. Così quando un povero ci chiederà un attimo di attenzione saremo in grado di lasciare le cose grandi e importanti, sapendo bene che la cosa grande e importante è dare attenzione a quell’uomo.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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